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Osteopatia e somatotipi: l’importanza del “terreno”.

somatotipi

Un articolo molto interessante sulle biotipologie di Renzo Spanu che completa quest’anno la sua formazione in osteopatia in EOP.
“Spesso in osteopatia si sente parlare di “terreno“. Ma cosa si intende veramente quando si utilizza questo termine?
È veramente necessaria una analisi approfondita delle predisposizioni del nostro paziente?
Come osteopati non basta “liberare una zona“?
Innanzitutto, facciamo chiarezza sul “terreno“.
Ognuno di noi ha delle predisposizioni, delle fragilità, dei punti deboli e dei punti di forza. In modo generale, ci si affida (anche se sempre in modo critico e non aprioristico) alle classificazioni dei somatotipi di Sheldon.
Sappiamo che in base alla predominanza dei foglietti embrionali, il nostro paziente potrebbe avere delle predisposizioni a determinate “debolezze”.
Questa predominanza, se viene messa in relazione al mondo circostante ed alle priorità della nostra specie, forma un “terreno” che può predisporre ad avere determinati punti deboli.
Alain Bernard, osteopata francese e fondatore dell’EOP (european osteopathic project), era un sostenitore di questa lettura “globale” del paziente.
Siamo quotidianamente messi a dura prova dalla forza di gravità che tende a “schiacciarci” al suolo. A questa “lotta” che dobbiamo intraprendere tutti, aggiungiamo delle caratteristiche personali: la sedentarietà, il carattere più o meno “reattivo”, debolezze di alcuni organi interni, la pratica più o meno frequente di attività sportiva.
Se analizziamo e mettiamo in relazione queste peculiarità del nostro paziente, sarà più semplice capire che una determinata tecnica sarà completamente inutile se applicata in modo automatico a tutti i pazienti.
tarzan&rossi

La cervicalgia del ragionier Rossi e la cervicalgia di Tarzan (personaggi che per Bernard identificavano i due estremi: il sedentario e l’iperattivo) avranno cause, approcci e trattamenti COMPLETAMENTE DIVERSI!
Per questo motivo, il successo dell’osteopatia insegnata da Bernard è dovuto al famoso “tripode diagnostico“: anamnesi, osservazione e test.
L’anamnesi, ovviamente, non sarà una mera raccolta di dati remoti e prossimi ma diventerà un momento per collegare eventi e situazioni riportate dal paziente che in altri momenti potrebbero sembrare non rilevanti.
L’osservazione cerca risposte alle seguenti domande “qual è la zona che soffre? chi la fa soffrire? che tessuto soffre?”. In questo modo, saremo spronati a seguire un filo logico che possa legare un arto inferiore ad un arto superiore in modo assolutamente coerente.
I test servono a confermare o a smentire le nostre ipotesi basate sull’anamnesi e sull’osservazione. La mano sul paziente che testa ed elabora i risultati è una mano intelligente, in grado di seguire determinate autostrade senza perdersi in vicoli laterali.
Solo in questo modo si potrà agire in modo completo, inquadrando il sintomo in un “terreno” e, in questo modo, cercando di rispondere in modo efficace e duraturo alle necessità di chi si rivolge a noi.”

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