La relazione viscero-parietale, al pari di quella inversa parieto-viscerale, si attua attraverso quelli che noi chiamiamo i tre legami: il legame neurologico, quello fluidico, il legame meccanico.
Il legame neurologico è quello che passa per il segmento midollare ed implica il concetto di “segmento facilitato” (di Korr) da cui derivano i dolori riferiti, i tender e i trigger , le zone riflesse.
Il legame fluidico è quello delle vie sanguigne e linfatiche, ma soprattutto del circolo interstiziale, la cui libertà o meno dipende sia da fattori strutturali (connettivali) che neurovegetativi.
Il legame meccanico è ovviamente quello del sistema fasciale.
È accezione piuttosto comune, almeno tra quelli che fanno il nostro mestiere di “globalisti”, collegare una sofferenza parietale ad un certo viscere, ma spiegare poi la relazione tra un problema di spalla destra ed il fegato o di spalla sinistra e lo stomaco è meno evidente.
Consideriamo un fegato ingrandito, evenienza comune anche in assenza di una patologia conclamata. I recettori presenti nel peritoneo che riveste l’organo e nella capsula glissoniana avranno un’attività superiore a quella normale, che aumenterà ulteriormente in condizioni di ulteriore distensione (dopo una bevuta, per esempio).
Questi stimoli saranno portati a livelli segmentari diversi, a seconda che siano raccolti da fibre neuorovegetative, o del nervo frenico di destra (a volte anche quello di sinistra).
E dei treni di stimoli, aumentati per frequenza e per intensità, potranno mettere “in facilitazione” i segmenti midollari da cui originano le radici del nervo frenico (C3 – C4 – C5) e quelli che ricevono le afferenze neurovegetative (da D7 a D10).
Questo avrà per conseguenza non solo i dolori riferiti:
– dolore alla spalla destra (n. frenico)
– area di iperestesia sul lato destro del corpo, tra D9 ed L1 (segmenti facilitati D7-D10)
– ma anche l’attività anomala di tutti i segmenti implicati da cui partiranno stimoli, sia somatici che viscerali, che potranno causare spasmi muscolari, fissazioni articolari, problemi vasomotori ecc. Questo è il legame neurologico.
Nello stesso fegato l’ipertrofia potrà creare difficoltà nella microcircolazione, ed in particolare una stasi nel sistema portale con possibili effetti di tipo vascolare, (per esempio ectasie nel plesso emorroidario) ma anche sciatalgie di origine venosa, da congestione dei plessi venosi della regione lombare, sempre con una cospicua componente parestesica che accompagna il dolore. Questo è il legame fluidico.
Sicuramente un fegato ingrandito avrà un problema di mobilità, con delle ipomobilità o delle fissazioni, che creeranno dei disturbi di mobilità a distanza attraverso le fasce, in “catene lesionali” che costituiranno il legame meccanico tra un problema di fegato ed uno di spalla destra, ed è sempre l’anatomia che ce le mette in evidenza, per esempio:
fegato – legamento coronarico – emidiaframma destro – pleura destra – fascia endotoracica – apparato sospensore della pleura – fasce cervicali.
Chiaramente questa è solo una delle direzioni in cui una tensione proveniente da un organo, il fegato, può trasmettersi.
In realtà una direzione preferenziale su cui si riversi il sovraccarico non esiste e questo potrebbe prendere le strade degli epiploon e dei dispositivi peritoneali, o quella delle aponeurosi interne: peritoneo parietale – fascia trasversalis poi:
– verso l’alto, diaframma – fascia endotoracica – pleure e pericardio
– all’esterno con le aponeurosi addominali profonde e con la fascia renale
– in basso con le aponeurosi del piccolo bacino da una parte, dell’arto inferiore dall’altra parte attraverso le sue espansioni sull’arcata crurale.
Quindi potremo trovare secondarie al nostro problema di fegato queste disfunzioni strutturali:
– fissazione delle vertebre D7-D10 e delle coste, dalla VII alla X, per via riflessa
– fissazioni vertebrali cervicali a destra riflesse (C4-C5) o fasciali (C6-C7-D1), con implicazione della 1ma costa.
A questo punto se in una “periartrite” destra cercheremo una predominanza “neurologica”, “meccanica” o “fluidica”, ci renderemo conto che questi tre livelli sono così interconnessi da rendere impossibile qualsiasi semplificazione. Ed uno stress – che abbia origine meccanica o infettiva/infiammatoria o psicoemotiva – potrà quindi diluirsi in un sistema in relativo equilibrio, causando solo una ridistribuzione delle tensioni (adattamento) o potrà incidere su un organismo già ai limiti del proprio adattamento, generando dei sintomi nei “loci minoris resistenziae”, nelle zone più fragili, che appartengano alla struttura o a un viscere.
Il diaframma gioca un ruolo primario anche come struttura fasciale; al suo centro fibroso arriva l’asse aponeurotico centrale che si aggancia alla base del cranio (con le aponeurosi interpterigoidea, pterigo-temporo-mascellare, palatina), si prolunga con le aponeurosi faringea e perifaringea e finalmente con il pericardio; in senso antero-posteriore questa struttura fibrosa è stabilizzata dai legamenti sterno-pericardici e vertebro-pericardici.
Il diaframma costituisce la continuità tra le fasce toraciche e addominali, mettendo in relazione queste due cavità. Nella sua parte superiore è ricoperta dalla fascia endotoracica raddoppiata dalle pleure; questa fascia si prolunga nell’addome attraverso la fascia trasversalis.
La sua faccia inferiore, cui si aggancia la fascia trasversalis, è rivestita dal peritoneo attraverso cui il fegato e lo stomaco si sospendono al diaframma.
Il diaframma anche nel suo ruolo di direttore d’orchestra dei giochi pressori tra le due cavità, toracica e addominale, agisce tramite i tre legami salvaguardando dei circoli virtuosi quando:
– imprime il suo ritmo alla colonna lombare attraverso i pilastri;
– manda segnali congrui ai suoi segmenti midollari;
– è motore del ritorno venoso e dei fluidi in generale.
Viceversa una disfunzione diaframmatica attraverso l’instaurarsi di una colonna di pressione – concetto introdotto da Finet e Williame – genera dei circoli viziosi, sempre attraverso i tre legami che possono mettere in difficoltà la struttura o i visceri, o entrambi.
In definitiva il ragionare sui tre legami non è una speculazione filosofica, ma è un potente strumento per cogliere le relazioni patologiche tra i diversi sintomi del paziente che abbiamo davanti, che possono alimentarsi a vicenda attraverso questi circoli viziosi, e scegliere da dove “entrare” per rompere il circolo.