La nostra scuola ha aperto un podcast per parlare di osteopatia e delle storie di chi la pratica e la insegna con passione e dedizione.
Questo è il primo episodio in cui Dario Vitale parla delle problematiche connesse al riconoscimento dell’osteopatia in Italia
D: Adesso che l’osteopatia è stata riconosciuta come materia sanitaria, quali sono i pro e i contro di questo riconoscimento?
R: Le criticità, dal punto di vista dell’ordinamento legislativo, in merito all’attuale situazione dell’osteopatia in italia nascono fin dall’inizio, cioè dall’articolo 1 del D.P.R. 131 del 7 luglio 2021 in cui viene l’osteopata viene individuato come figura sanitaria e ne viene tracciato il profilo professionale.
In questo primo articolo, dei sei che compongono lo scarno decreto, l’osteopata – dopo una laurea triennale – si occuperà di prevenzione e mantenimento della salute trattando disfunzioni non riconducibili – mai, per carità – a patologie, nell’ambito dell’apparato muscolo scheletrico.
D: Se ho ben capito l’osteopata, secondo questo articolo, non si occuperebbe di curare patologie…
R: Proprio così, la norma prevede che l’osteopata si possa occupare solo di prevenzione e non di curare patologie; quindi avrà limiti di competenza inferiori ad altre lauree sanitarie triennali come quelle di un fisioterapista, di uno psicomotricista, di un podologo, che curano nei loro ambiti le relative patologie.
D: Resta da capire chi si rivolgerebbe ad un figura del genere, e per che motivo.
R: Questo è un capolavoro di ambiguità e di equilibrismo sociopolitico, progettato da una parte per non scontentare ulteriormente i fisioterapisti, già vessati dai famigerati elenchi speciali, in cui sono rientrati “dalla finestra” tutti gli abusivi contro cui per anni i poveri fisio avevano invocato la creazione di un albo.
Dall’altra probabilmente è stato un escamotage per non essere obbligati ad inserire gli osteopati nel SSN.
D : Come si prevede la formazione universitaria?
R: Le criticità continuano, anzi forse aumentano passando alla formazione universitaria dove, anche se non è stato ancora promulgato il relativo decreto attuativo, la scarsità della preparazione pratica che affligge le branche mediche, sarà ancora più evidente. Se per esempio ci sono fisioterapisti che lavorano ed insegnano negli istituti universitari, e reparti dove gli allievi fisioterapisti fanno pratica con dei veri pazienti, nel pubblico non ci sono né osteopati né relativi pazienti. Quindi non si capisce come e dove gli allievi osteopati potranno fare un minimo di pratica.
D: E il riconoscimento di quelli che attualmente si dicono osteopati?
R: Anche per il riconoscimento del pregresso non c’è ancora un decreto attuativo, ma quello che è sicuro è che l’Università per dare diplomi di laurea pretenderà un corrispettivo economico, tanto maggiore, quanto più scarsi saranno i titoli di chi lo richiede. E per titoli si intende CFU, Crediti Formativi Universitari, appannaggio unicamente delle università pertanto non attribuibili da alcuna formazione privata non universitaria.
Vale a dire che un fisioterapista laureato avrà un percorso più breve – e pagherà all’università meno soldi – di uno laureato in scienze motorie, per ottenere una seconda laurea.
D: Ma perchè un fisioterapista dovrebbe spendere soldi e tempo per acquisire un titolo che ormai è meno qualificante di quello che già ha?
R: Infatti non penso che un fisioterapista – cui una buona formazione ha già dato gli strumenti dell’osteopatia, e lavora in maniera soddisfacente, abbia voglia di tornare all’università per ottenere un titolo a questo punto meno qualificante di quello che già possiede.
D: In tutto questo bailamme che fine faranno le associazioni di categoria tipo ROI?
R: Che dire? Se ne contavano a decine, oltre al famoso ROI, prima di incassare la sonora sconfitta di un decreto che è passato sopra a tutte le loro richieste, mortificando un’intera categoria.
Facendo buon viso a cattivo gioco hanno innalzato dopo questo pseudo riconoscimento canti di vittoria…scompariranno tutte nell’oblio una volta istituito l’albo.