Nella seconda puntata del nostro podcast Dario Vitale parla delle competenze dell’osteopata e di come si dovrebbe insegnare l’osteopatia secondo l’approccio fondamentalmente pratico/pragmatico della nostra scuola.
D: Quali sono le competenze di un osteopata?
R: Sui limiti e sulle competenze dell’osteopatia se ne discute dai tempi di Still, con visioni opposte che vanno dalla biomeccanica di Littlejhon e Werham, passando per la sfera viscerale di Weishenck e Barral, fino alla biodinamica di Rollin Becker ed J. Jealous.
Fino ad oggi ogni professionista è stato libero di scegliersi ed approfondire gli strumenti che gli erano più congeniali, secondo le proprie attitudini, l’insegnamento che aveva ricevuto, seguendo un percorso personale di evoluzione personale.
Libertà che avevano anche i medici e che purtroppo stanno perdendo sotto il tallone dell’EvidenceBasedMedicine, la cosiddetta medicina basata sulle evidenze, che invece di produrre una continua e costruttiva revisione critica delle metodiche terapeutiche ha prodotto dei protocolli da cui nessuno osa più uscire per sperimentare strade terapeutiche nuove, alternative.
Per questo c’è da stare attenti quando si sente invocare un’EvidenceBasedOsteopathy, anche perché sicuramente l’avvento di un’osteopatia universitaria, la mutilerà di estese parti del suo corpus, quali visceri e cranio.
D: Si, ma di fatto di che si occupa?
R: L’osteopatia si occupa in senso lato del movimento, più nello specifico delle diminuzioni di movimento che possono subire tutte le strutture “mobili” del nostro organismo e che si ripercuotono negativamente sul suo funzionamento e sul suo stato di salute.
D: Di che tipi di movimento parliamo?
R: Quando si dice “movimento”, si pensa ai muscoli, alle articolazioni, forse a certi visceri come cuore, polmoni, visceri addominali. Ma il movimento, per noi come per la medicina ufficiale, si estende fino alle cellule e alle strutture ultracellulari. Ma mentre in medicina, le “patologie del movimento” esistono a pieno titolo solo in senso ortopedico o neurologico, per noi qualsiasi struttura perda movimento è patologica.
D: Prima hai citato varie visioni, spesso antitetiche, che generano diversi approcci tecnici. A quale visione aderisce la vostra scuola?
R: La nostra scelta è quella di una osteopatia strutturalista, in accordo non solo a quanto tramandatoci dai nostri Maestri, ma anche alla richiesta della stragrande maggioranza dei pazienti che si rivolgono ad un osteopata.
Scegliere di trattare certi argomenti escludendone altri, non è un parametro di parzialità o di ristrettezza di vedute, né vuole implicare peraltro un giudizio assoluto di valore.
Al contrario risponde all’esigenza di sfuggire da una trappola in cui si sta sempre più infilando la moderna osteopatia, quella della “tuttologia”. Sempre più vediamo gli osteopati discorrere da una parte di argomenti appannaggio della medicina classica quali l’immunologia e l’endocrinologia, secondo un totalmente frainteso concetto di globalità; dall’altra di temi che sconfinano nell’esoterico, con flussi e maree.
D: Allora secondo te quale deve essere un piano di studi “realistico”?
R: C’è un paradosso dietro le offerte formative incredibilmente vaste, che spesso troviamo sul mercato. Facciamo l’esempio di pediatria, materia che appartiene a molti programmi delle varie formazioni in osteopatia.
Le formazioni part-time in media prevedono un monte ore di 200 -250 ore per anno di cui, come è normale in una formazione prettamente pratica, almeno due terzi dedicati alle esercitazioni pratiche; per erogare le nozioni teoriche rimangono 70-80 ore per anno, da dedicare prima di tutto all’anatomia, alla biomeccanica,alla neurologia, alla radiologia,alla clinica e alla diagnostica differenziale per ognuno dei sistemi previsti dal piano di studi.
Se solo un corso universitario di pediatria prevede decine di ore lezioni frontali,necessarie del resto per dare ad un allievo osteopata, che vorrà curare dei neonati, i rudimenti di una fisiopatologia e di una diagnostica differenziale alquanto diversi da quelli di un’adulto, come farle entrare nelle nostre 200 ore. Stesso discorso per endocrinologia, per ginecologia, gastroenterologia, otorinolaringoiatria, per citare le materie più gettonate nei vari piani di studi.
Queste considerazioni ci hanno portato a ridurre drasticamente le materie previste dalla nostra offerta formativa che pretende appunto di formare, non di “informare”, come succede inevitabilmente quando in un piano di studi di osteopatia troviamo non solo le succitate materie ma anche l’embriologia, cito dal web, la psicologia, l’oculistica, la metodologia della ricerca, l’uro-nefrologia, l’odontoiatria e chi più ne ha più ne metta. Sono specchietti per le allodole per chi, inesperto, sceglierà istintivamente un’offerta più ricca, più globale.
D: Ma allora cosa può fare un osteopata se vuole occuparsi di pediatria o di ginecologia?
R: Il mio consiglio è di fare prima una scuola come la nostra, che dia dei concetti saldi, e delle competenze per affrontare la grande maggioranza dei problemi che affliggono el persone che si rivolgono all’osteopatia. Poi trovare delle specializzazioni serie negli ambiti desiderati.